Luisa, nell’osservare le sperimentazioni di Alberto Burri, mi dice: “E’ possibile che tu non ti faccia uscire qualcosa di geniale? Tutto ha un senso: Burri medico, che viene fatto prigioniero e deportato in Texas dagli americani, dopo la sofferenza della guerra ritrova l’afflato artistico, geniale e schivo, nella sua patria. A guardarmi allo specchio, la mia vita ripercorre alcune tappe dell’artista: nato in Italia, “trasportato” in America e poi “deportato” in Italia, non trova altra vena che fare il medico e scoprire in vecchiaia quello che a 16 anni era emerso proprio a New York: la voglia di fare fotografia. Di fronte al rigore progettuale, cromatico e geometrico di Burri, il mio atteggiamento è molto più simile a quello di preparazione di una ratatouille. La produzione di Burri è vasta e fruibile in maniera molto piacevole a Palazzo Albizzini in Città di Castello.