Tears for fears

Il mio sguardo si perde verso la val di Cecina su un tornante, con un panorama a me sconosciuto, e mi viene in mente il nome del gruppo musicale.

Nulla di più appropriato dopo la visita all’ex manicomio di Volterra, sperdutamente abbandonato su una collina, in mezzo a un boschetto, diroccato, transennato. Insomma, è chiuso. 

Un luogo delle anime perse, come ci dice Andrea, figlio di un infermiere psichiatrico volterrano, che ci guida attraverso le grida degli anni trenta nei corridoi dalle bianche mattonelle, l’elettroshock, i neurolettici, la lobotomia. 

NOF4, Fernando “Oreste” Nannetti da Roma, messo a Santa Maria della Pietà per oltraggio a pubblico ufficiale e poi trasferito a Volterra, se li fa un po’ tutti i reparti e si becca anche la peggiore contenzione (ironicamente proprio Charcot si doveva fregiare di questa bella dedica di reparto); tuttavia lui scrive la sua vita di libertà su 180 metri di muro del padiglione giudiziario Ferri con la fibbia della sua cinta in 10 anni, il suo “elemento umano che si allunga e si accorcia” vede la legge Basaglia – via i lucchetti! – ma lui muore lì, nel 1994. Da libero cittadino, ma non è tornato mai a Roma. 

Questa è la sua storia di inclusione.

Ognuno che si rivolge a noi per qualsiasi motivo esso sia, vuole essere ascoltato, e non solo udito, vuole la consapevolezza di colui con il quale si sta relazionando. Nel lavoro che svolgo tutti i giorni proprio la certezza della rapporto umano si sta affievolendo, per una sorta di prevaricazione o istinto di sopravvivenza dettati dalla paura, o più banalmente dalla mancanza di amore.  

Questa è una storia di ascolto, e di inclusione.

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